Il salotto della casa di Bonn è buio. Le persiane sono chiuse ed è meglio che sia così. Tutti sanno che gli Hausdorff sono ebrei e che vivono in quell’appartamento ed è solo grazie alla fama di Felix e alle sue conoscenze altolocate che la deportazione gli è stata finora risparmiata. Me è meglio non farsi notare troppo. Bessel-Hagen, ad esempio, già una volta è riuscito a intercedere per loro, ma dubita di riuscirci ancora. Ciò che si sente dire sul trattamento degli ebrei deportati in Polonia va ogni oltre immaginazione, ha scritto loro. Per questo gli Hausdorff non sono più in grado di reggere l’ansia che li attanaglia ogni volta che il sole tramonta: arriveranno questa notte le SS?
Eppure non era così che pensava di andarsene, non con una manciata di barbiturici, per procurarsi i quali, previdentemente da anni, ha dovuto far ricorso alle sue migliori amicizie. Non era a questa vecchiaia che pensava quando, ragazzo, coltivava il sogno sempre rimandato di comporre una sinfonia e oscillava perennemente tra la passione per la matematica e quella per la musica. Non pensava a questi momenti quando, giovane uomo, a Lipsia raccoglieva tra le sue amicizie letterati e artisti e divideva il suo talento tra scienza e lettere, pubblicando romanzi e racconti con il nome di Paul Mongré e articoli scientifici con il suo nome reale. Lui, Felix. Un nome benaugurante. Come non pensare che potesse essere così? Ricco di famiglia. Dotato di variegati talenti. Capace di fare con semplicità cose che ad altri parevano essere quali impossibili. Felici come il suo nome quelle serate. Ricorda ancora la gioia che lui e sua moglie avevano provato nell’uscire di casa eleganti, in carrozza, diretti alla prima rappresentazione teatrale di un suo testo negli anni ’20. Ma anche l’intima soddisfazione che gli aveva portato mettere la parola fine alla scrittura del libro che riordinava le conoscenze di quel tumultuoso nuovo campo di studio: la topologia.
Poi, a un certo punto, tutto era iniziato a scivolargli tra le dita. Non era bastato giurare fedeltà al nazismo. Non era bastata la sua fama. Non era bastata la sua ricchezza. Davanti al suo timido ebraismo tutto sembrava scomparire. Umiliato per i corridoi della Facoltà da studenti in camicia bruna che spadroneggiavano indisturbati. Nel ’35 gli era stata infine revocata la cattedra. Una deprimente vergogna. Aveva continuato a lavorare spedendo i suoi articoli di matematica, che in Germania era vietato pubblicare, ai suoi amici polacchi.
Infine la notte dei cristalli. A quel punto era chiaro che presto o tardi le cose sarebbero finite male. Si era fatto forza e aveva scritto a Courant per chiedere asilo negli USA. Troppo tardi. All’inizio del 1939 ormai tutte le porte si erano chiuse per l’emigrazione ebraica. Non sentiva di avere le forze per tentare una via clandestina.
E ora questo salotto buio e questa lettera che gli risulta così insopportabilmente difficile: “quando avrai ricevuto queste righe noi tre avremo risolto il problema in altra maniera”, già, difficile persino da nominare. Altri erano i problemi che avrebbe potuto risolvere, ancora. Seduti fianco a fianco: lui, la sua amata Charlotte e la sorella di lei, Edith. Insieme sempre, come negli ultimi tre difficilissimi anni. Sperando che le SS non arrivino proprio questa sera, con il primo buio, a portarli via. “Perdonaci la nostra diserzione” si scusa per un’ultima volta con l’amico Bessel-Hagen, l’ultimo ad aver disperatamente cercato di aiutarlo. E trova la forza di augurargli per il futuro tempi più felici. Non c’è più futuro invece per Felix e le sue donne. La sera di Domenica 25 Gennaio del 1942 Hausdorff, suicida, muore.
Felix Hausdorff
..